01_2emCerchiamo di essere moderni…
Secondo molti italiani l’atteggiamento della Chiesa nei confronti dei gay è, semplicemente, medievale. Ed occorrerebbe, oltretutto, una legislazione più moderna in materia di diritti civili – e quindi, talvolta, anche le leggi del nostro Stato finiscono per essere un tantino arcaiche. D’altronde tutti saranno senz’altro disposti a sottoscrivere l’idea che Il Volo esprime la persistenza della tradizione del bel canto all’italiana, mentre sono innegabilmente più moderne le sperimentazioni in salsa rap di un Caparezza.
Né d’altro canto sembrò aver difficoltà uno storico del calibro di Adriano Prosperi ad affermare, qualche tempo fa, che il riemergere di conflitti etnici e religiosi all’indomani del 1989 – pensiamo alla guerra nella ex Jugoslavia – pareva profilare, all’orizzonte, una involuzione rispetto alle conquiste della modernità. E nemmeno andò troppo lontano da quest’assunto il compianto Umberto Eco quando, poco più di una decina d’anni fa, pubblicò una raccolta di saggi con cui intendeva affermare che il nostro tempo pare procedere A passo di gambero (Milano, Bompiani, 2005).
L’aggettivo moderno, insomma, ha fatto molta strada da quando, tra il V ed il VI secolo dopo Cristo, il grammatico Prisciano lo utilizzò – pare per la prima volta – in un opuscolo intitolato De accentibus. In quel contesto, infatti, modernus significava soltanto “attuale, relativo a fatti presenti”: negli esempi di cui sopra moderno significa “nuovo, migliore” oppure, in senso più propriamente storiografico, “età moderna”.
…ma non divaghiamo…
Il significato su cui ci soffermeremo in questa sede è il terzo, ovviamente. Bisogna prima precisare, però, che il nostro sarà un discorso sulla modernità in Europa, e non sulla modernità sic et simpliciter. Anche perché, a ben guardare, pare difficile immaginare che possa esistere una modernità di questo secondo tipo.
È una precisazione d’obbligo, perché magari giungendo a San Salvador il buon Cristoforo Colombo avrà pure dato inizio all’età moderna – anche se su questo punto torneremo tra poco –, ma di certo gli Arawak che si trovò di fronte non abitavano in città paragonabili alla Firenze medicea né alla Siviglia dei re cattolici. E, del resto, non erano andati molto al di là di un livello di sviluppo neolitico gli abitanti del Nord America, mentre di lì a poco il Giappone dello Shogun Leiatsu Tokugawa avrebbe operato una centralizzazione del potere che gli avrebbe permesso di superare l’atavica frammentazione feudale dell’Impero.
Insomma, non si può parlare dei tempi della storia senza parlare anche dei suoi spazi – e qui, con dolore, tocca forse spezzare una lancia a favore dei fautori di quel monstrum didattico che nelle nostre scuole secondarie di secondo grado è la geostoria. Poi, certo, ci sono anche i sostenitori della World History, secondo i quali è possibile raccontare la storia dell’umanità entro categorie unitarie: ma per farlo dovrebbero spiegare in che modo la vita quotidiana delle popolazioni dell’Africa nera nel 1517 può essere considerata moderna come moderno è Martin Lutero che, in quello stesso anno, dava inizio alla Riforma protestante.
Così, fintantoché non ci sarà chiaro in che modo i Tepanechi del XIV secolo vivono il salto d’epoca da cui nascono le liriche di Petrarca e le novelle di Boccaccio, noi parleremo dell’età moderna in relazione all’Europa.
…e veniamo al punto.
Cristoforo Colombo scambiò le Antille per l’Arcipelago del Giappone di cui aveva parlato Marco Polo nel Milione: ma di certo il 1492 è un anno decisivo per la storia europea. Da allora in poi la partita per la supremazia economica mondiale si giocò nell’Oceano Atlantico, ed il Mediterraneo, che già da qualche tempo era diventato un po’ meno nostrum come mare, cessò di essere in cima alle preoccupazioni delle grandi potenze.
Ma è lì che nasce l’età moderna? Marshall McLuhan avrebbe risposto di no, ed avrebbe indicato nel 1455 la data d’avvio di quella che lui chiamava Era Meccanica – ovvero di quella che nel lessico degli storici corrisponde ad una età moderna estesa fino alla seconda rivoluzione industriale –, perché quell’anno Johan Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili. Il cui ruolo, com’è noto, non fu secondario né nel dare impulso alle scoperte geografiche né nel favorire la diffusione della Riforma protestante nel Nord Europa – e Lutero è l’altro grande candidato tra i potenziali padri della modernità.
Naturalmente gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma il punto non è fare esempi. Il punto è mettere in chiaro due cose: che tutto questo ci autorizza ad individuare nel periodo compreso tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo l’atto d’avvio dell’età moderna; che nessuno degli eventi sopra menzionati può essere considerato l’evento da cui questa nasce. Gutenberg, Colombo e Lutero – e potremmo citare anche i Turchi che prendono Costantinopoli, in effetti – sono più che altro punti di riferimento simbolici, che indichiamo per stabilire un’ideale ora “x” da cui nasce la modernità.
Post scriptum. Secondo chi scrive l’evento che meglio di altri si presta a segnare l’avvio dell’età moderna in Europa è l’impresa di Colombo. Con le scoperte geografiche e, soprattutto, l’arrivo nel Nuovo Mondo, infatti, l’Europa smise di considerarsi un centro senza periferia, ed iniziò a pensarsi come un centro dotato di periferia – e gli effetti di questa presa di coscienza sono stati spesso tutt’altro che encomiabili. Ma, naturalmente, non ho la pretesa di risolvere in questa sede una questione di simili proporzioni.

Post post scriptum. Ovviamente nel dire che qui si parla di età moderna in relazione all’Europa non si intende discriminare le civiltà e le storie diverse da quella europea. Si intende, più che altro, ricondurre il discorso che verrà svolto entro i limiti che gli sono propri senza, peraltro, evitare di menzionare la storia di altre civiltà – le quali, come emergerà chiaramente, hanno un’importanza decisiva per comprendere le vicende del Vecchio Continente.