La religione non è la vera causa delle guerre
Si dice spesso che le religioni sono fonte di violenza. Ed è, in effetti, una tesi che pecca di eccessivo ottimismo, perché se fosse vera basterebbe abolirle per garantire non dico la pace, ma perlomeno una significativa riduzione dei conflitti. Eppure l’Europa del Novecento – quella successiva alla “morte di Dio”, ormai laica e secolarizzata – è stata l’epicentro di due guerre mondiali.
Del resto anche guardando al passato questa tesi non trova troppe conferme. Prendiamo il cardinale Richelieu, tanto per dire: lui organizzò guerre contro l’Impero asburgico del cattolicissimo Ferdinando di Stiria ed in favore dei protestanti perché, se quest’ultimo avesse accumulato troppo potere, sarebbe stato un serio impedimento alla ricostituzione di un’egemonia francese sull’Europa. Eppure il caro Armand-Jean du Plessis, figlio del signore di Richelieu, era, per l’appunto, un cardinale: e cioè uno dei più importanti esponenti della gerarchia ecclesiastica.
La religione, insomma, non è la vera causa delle guerre. Potrà essere tutt’al più una loro concausa, o magari un pretesto: ma in ogni caso la faccenda è ben più complessa.
Ferdinando contro tutti – Le prime due fasi della Guerra dei Trent’anni
La pacificazione di Augusta (1555) aveva assicurato alla Germania un lungo periodo di pace. All’inizio del ‘600, però, l’arrivo sul trono imperiale di Mattia d’Asburgo e l’elezione di Ferdinando di Stiria a Re di Boemia fanno riemergere vecchie ruggini. Si formano la Lega cattolica e l’Unione evangelica, e la situazione minaccia di precipitare da un momento all’altro.
Ferdinando di Stiria promuove una politica di cattolicizzazione forzata e la nobiltà boema, in maggioranza protestante, si ribella. Il 23 maggio 1618, dalle finestre del castello di Hardčany, volano a terra Jaroslav Bořita z Martinic, Vilém Slavata e Philip Fabricius, ovvero i delegati dell’imperatore ed il loro segretario. È la famosa defenestrazione di Praga, al termine della quale Federico V del Palatinato viene nominato Re di Boemia dagli insorti e Ferdinando di Stiria – nel frattempo divenuto imperatore col nome di Ferdinando II – inizia una vera e propria guerra contro i nobili boemi.
Con l’aiuto di armi spagnole l’esercito imperiale riuscirà ad imporsi sui ribelli nella decisiva battaglia della Montagna Bianca (1620) ed in seguito nella battaglia di Stadtlohn (1623). Al termine di questa prima fase della Guerra dei Trent’anni – nota come fase boemo-palatina – Ferdinando inasprì la sua politica di cattolicizzazione e di repressione del protestantesimo.
La pace sarà tuttavia breve. Il protestante Cristiano IV di Danimarca non era infatti solo sovrano dei danesi, ma era anche duca di Holstein, un ducato interno al Sacro Romano Impero, e per questo motivo non vedeva di buon occhio né l’accresciuto potere di Ferdinando II né la sua politica antiprotestante. Così, nel 1625, la Danimarca, forte anche del supporto finanziario della Francia di Richelieu, dichiarò guerra a Ferdinando, iniziando la fase danese della Guerra dei Trent’anni.
Ancora una volta, però, l’esercito imperiale riuscirà ad avere la meglio. Questa seconda fase del conflitto sarà particolarmente contrassegnata dall’ascesa dell’astro politico-militare di Albrecht von Wallenstein, nobile boemo di fede protestante convertitosi al cattolicesimo per puro e semplice opportunismo. Sarà lui, insieme al conte di Tilly, a dare un contributo decisivo all’affermazione dell’esercito imperiale in questa seconda fase della guerra, acquisendo un potere tale da suscitare qualche perplessità in tutta l’aristocrazia tedesca ed anche in Ferdinando II.
Ad ogni modo l’Imperatore siglò, nel 1629, il Trattato di Lubecca, con cui di fatto sanciva la pacificazione con la Danimarca. In quello stesso anno, poi, Ferdinando II promulgò l’Editto di Restituzione, con cui imponeva ai principi protestanti di restituire i beni confiscati alla Chiesa cattolica a partire dal 1552.
Si trattava, ovviamente, della premessa a nuovi conflitti.
I crucchi e i francesi non ci stanno – Le ultime due fasi della Guerra dei Trent’anni
I principi tedeschi, ovviamente, non prendono per niente bene l’Editto di Restituzione, e così iniziano ad invocare, insieme alla Francia, l’intervento militare di Re Gustavo Adolfo di Svezia. Quest’ultimo accetta e scende in Europa con un forte esercito, dando inizio alla terza fase della guerra dei trent’anni, detta fase svedese.
Gustavo Adolfo ottiene una serie di successi sull’esercito imperiale, ma perde la vita in battaglia. Così Ferdinando II, dopo aver fatto uccidere il Wallenstein – che tramava contro di lui –, sconfisse l’esercito svedese e stipulò un accordo con i principi tedeschi. Ma a questo punto è la Francia di Richelieu ad intervenire in prima linea, avviando la fase franco-svedese della guerra.
È, questa, la fase più lunga e sanguinosa del conflitto. Alla fine l’erede di Ferdinando II, ovvero Ferdinando III, si arrenderà, e verrà firmata la pace di Westfalia (1648). Con essa l’Impero rimaneva in piedi come entità puramente formale, ed al suo interno si creava una miriade di micro-territori; mentre il potere dell’Imperatore veniva limitato ai domini asburgici.
Il Re c’è, ma non importa – La “politica dei primi ministri” e la situazione tedesca dopo Westfalia
La Germania pagherà a lungo lo scotto della guerra dei trent’anni: andrà incontro ad una crisi demografica e ad un declino socio-economico di lunga durata.
Il quadro europeo nel trentennio che comprende questa guerra vede affermarsi la “politica dei primi ministri” in Francia e in Spagna. In questi Paesi, infatti, più che la persona del sovrano (Luigi XIII in Francia, Filippo III in Spagna) a contare è il primo ministro, che decide la linea politica da seguire.
La politica spagnola è orientata dall’attività di primo ministro del duca-conte Olivares. Questi offre appoggio militare alla casa asburgica durante la guerra dei trent’anni, ma lo sforzo finanziario necessario a questo scopo lo sostiene mediante un pesantissimo inasprimento della pressione fiscale. Da ciò derivano varie rivolte: quella del Portogallo, della Catalogna e del Regno di Napoli (le ultime due rientreranno, mentre il Portogallo otterrà l’indipendenza con la pace di Westfalia).
L’omologo francese di Olivares è invece il cardinale Richelieu. Anche lui avvia un significativo inasprimento della pressione fiscale che è all’origine di varie rivolte, alcune popolari ed altre anche nobiliari (la famosa rivolta della Fronda). Richelieu, inoltre, avvia un processo di centralizzazione burocratica dello Stato volto a rafforzare il ruolo del Re che anticipa la politica di Luigi XIV.