Dopo aver mangiato minestra alle mense della Caritas i poveri fumano sigarette. A volte pensano all’ex moglie e ai figli che non vedono più da sei anni. Altre volte ricordano il giorno in cui hanno firmato sul foglio delle dimissioni in bianco, col responsabile del personale che gli diceva che o quello o niente. Poi, all’occorrenza, si chiedono se in nottata farà freddo, se ci sarà altro tabacco, se incontreranno quell’amico da cui hanno imparato a giocare a carte.
Di certo i poveri non pensano a Matteo Salvini o a Luigi Di Maio, come del resto ieri non hanno pensato Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Di alcuni di loro, anzi, è lecito immaginare che i poveri ignorino addirittura il nome. Del resto: perché dovrebbero conoscerlo? Per chi è povero essere nel 2018 non è diverso dall’essere nel 2009: figuriamoci se può avere importanza una “x” da mettere sulla scheda elettorale.
Chi ha da pensare alla sopravvivenza, insomma, non ha tempo da perdere coi salvatori della patria. Formarsi un’idea sul governo non è un suo problema. Comprensibilmente.
Pare difficile, dunque, sottoscrivere l’idea – oggi largamente maggioritaria – secondo cui il successo dei populisti in Italia e in Europa deriva dalle sofferenze sociali patite dagli ultimi. È molto più probabile, invece, che l’insofferenza diffusa nei confronti del “sistema di potere” sia il frutto delle difficoltà – talvolta reali, talvolta immaginarie – dei ceti borghesi e piccolo-borghesi. Cioè di quei ceti che, a causa della crisi, hanno smesso di cambiare automobile ogni tre anni e l’hanno sostituita con l’IPhone e il corso di pilates.
Che ciò sia vero è del resto confermato dalla maggior parte degli spauracchi e delle bandiere agitate dal governo pentaleghista, che dell’ondata populista in atto è uno dei più fulgidi esempi in tutto l’Occidente. Misure come la riforma delle pensioni, la flat tax e la pace fiscale non sono forse pensate per un interlocutore piccolo-borghese e borghese? E del resto la preoccupazione per la sicurezza nelle strade non è, forse, tipica dei ceti medi?
Questo, ovviamente, non vuol dire che si tratti necessariamente di misure volte a risolvere problemi fasulli. Però, ecco, dire che si tratta di tentativi di rispondere alle esigenze degli strati più deboli della nostra società significa, semplicemente, non sapere com’è fatta la povertà.
Post scriptum. A conti fatti, tra le misure proposte dal governo, la sola almeno potenzialmente in grado di fronteggiare il nero della miseria è il reddito di cittadinanza. Ma, di fatto, non è dato sapere né dove si troveranno i soldi per realizzarlo né come si eviterà di trasformarlo in una misura puramente assistenziale.